Compianto su Cristo morto è uno degli affreschi più noti di Giotto; eseguito tra il 1305 e il 1310 fu realizzato nella Cappella degli Scrovegni di Padova, oggi patrimonio mondiale Unesco.
La fama di tale affresco, che misura 2 x 1,85 metri, è dovuta con buona probabilità al fatto che sia in grado, nella sua esecuzione, di descrivere perfettamente le qualità pittoriche di Giotto.
Egli è uno degli artisti che amo definire traumatici, ossia che rompono con la tradizione artistica del loro tempo, apportando qualcosa di innovativo.
Il Longhi, storico dell’arte, gli attribuisce l’introduzione della plasticità, ossia la capacità di rappresentare le figure nello spazio, conferendo loro una dimensione.
Come possiamo osservare la scena si svolge all’aperto, è la deposizione di Cristo.
È incorniciata da un cielo blu che confina i movimenti di quanto si trova al di sotto di esso, eppure tutto è dinamico. L’immagine scivola da destra a sinistra e dall’alto verso il basso, confluendo nel punto di massimo pathos, dove il volto di Maria si accosta a quello del figlio morto.
Non solo, è anche il punto dove è concentrato il dolore e man mano che si sale raggiungendo gli angeli ci si muove verso l’idea di speranza.
A reggere i flussi di questi movimenti è la figura di Giovanni, collocata al centro, che con le braccia spalancate e il volto proteso si strugge per la morte di Gesù.
La tridimensionalità, il movimento, sono date dalle sfumature di colore delle vesti, che Argan definisce una costruzione tonale in nuce.
Giotto rappresenta dunque scene sacre come fossero narrazioni storiche, privandole di quella maestosità mistico-religiosa.
Nel rispetto della sua contemporaneità invece utilizza gli sfondi naturali in modo funzionale: ad esempio le rocce non servono a descrivere un paesaggio, ma ad accompagnare il movimento dei corpi presenti in scena.

