Il Ratto di Proserpina è una delle sculture più note di Gian Lorenzo Bernini ed é custodita presso la Galleria Borghese di Roma; la statuta è famosa per il modo in cui le mani di Plutone stringono i fianchi di Proserpina, affondando letteralmente nella carne marmorea di lei.
Fu eseguita con marmo di Carrara tra il 1621 e il 1622, quando Bernini aveva solo ventitré anni. La commissionò Scipione Caffarelli Borghese per esporla presso la sua villa, anche se successivamente la donò al Cardinale Ludovico Ludovisi.
La trama narrativa è molto interessante: la Dea Cerere era solita innaffiare e seminare le piante affinché, assieme agli alberi, potessero dare i frutti. Con lei c’era Proserpina, sua figlia, che le teneva compagnia fino a sera, quando facevano rientro verso casa.
Plutone, dio degli inferi, era l’unica divinità a non aver trovato ancora una compagna poiché nessuna avrebbe mai rinunciato alla luce del sole per vivere con lui.
Egli, innamoratosi di Proserpina, con il consenso di Giove, rapì così la ragazza mentre era in riva a un fiume; ella riuscì a slacciarsi la cintura di fiori e a lanciarla sulle acque, affinché la madre potesse capire che le era successo qualcosa.
Cerere, non trovando più sua figlia, iniziò a cercarla per nove giorni e nove notti, fino a quando Elio, il Dio del Sole, non le raccontò tutto nel momento in cui la stessa Cerere rinvenne la cintura di fiori.
Da quel momento smise di seminare e la carestia e la fame iniziarono a piegare il mondo degli umani.
Giove, osservando i danni che stava provocando la mancata semina, si diresse da Cerere per convincerla a riprendere il suo operato, fu però irremovibile, dicendo che non avrebbe ripreso fino a quando Proserpina non sarebbe stata liberata.
Giove decise allora d’inviare immediatamente Mercurio ad avvisare la figlia affinché non toccasse cibo. Plutone infatti aveva fatto preparare un pranzo succulento e appetitoso, e malgrado Proserpina fosse troppo infelice per mangiare, infine, su insistenza di Plutone, cedette per la fame davanti a rossi e succosi chicchi di melograno che il dio dei morti, furbamente, le aveva messo in mano. Plutone gliene porse una dozzina e, quando arrivò Mercurio, Proserpina purtroppo ne aveva già assaggiati sei.
La fanciulla scoppiò in lacrime quando venne a conoscenza della legge divina per cui colui che mangia anche un solo boccone mentre si trova nel regno dei morti non può più ritornare sulla Terra. Giove, mosso a compassione, decise che Proserpina, avendo mangiato sei soli chicchi di melograno, avrebbe vissuto nel regno dei morti insieme a Plutone sei mesi all’anno e i rimanenti sei mesi avrebbe vissuto sulla Terra insieme alla madre Cerere.
Il mito di Proserpina vuole quindi che l’arrivo della primavera sia sancito dall’arrivo di Proserpina sulla Terra, e che il suo ritorno nell’Ade, sei mesi dopo, coincida con l’arrivo dell’autunno. La primavera ritornerebbe allora l’anno successivo, assieme alla fanciulla.
Tornando all’opera si nota che ad essere rappresentato è proprio il culmine del racconto, l’esatto momento in cui Plutone sprigiona la sua forza per portare via con se Proserpina; lei si dimena, cercando di respingere il bramoso dio, mettendogli la mano sul volto. Il tutto si svolge con un movimento spiraliforme, che consente al visitatore di poter osservare da ogni posizione la scultura.
Sotto è rappresentato cerbero, cane a tre teste guardiano degli inferi, il quale nel momento del ratto si assicura che non vi siano ostacoli.
Sono da notare le lacrime di Proserpina, le mani di Plutone e il volto del dio, eseguiti con perfetta maestria. Non a caso dopo così tanti anni questa scultura è una delle più emozionanti che Bernini abbia mai fatto.


