Il tempo che dedichiamo all’arte.

Poco e male, triste dover usare un incipit tanto crudo quanto uno schiaffo in faccia, ma a parlare sono i dati di una interessante ricerca della Tate Modern: secondo l’istituzione un visitatore sosta davanti a un’opera d’arte il tempo necessario a dire “trentatré trentini entrarono a Trento tutti e trentatré trotterellando”.

Beh, senza dubbio la Tate non ha usato lo scioglilingua nostrano, è stata più sintetica e British: 8 seconds, 8 secondi.

Un’opera complessa, fatta di materiali diversi, profondità, scenari, temi, messaggi e tecnica come possiamo in un così piccolo frammento di tempo comprenderla o tantomeno apprezzarla?

In una bellissima intervista Philippe Daverio ci ricorda che quando entriamo in un museo entriamo sempre privi di un orientamento.
Essi offrono un’overdose di arte e i più vi si addentrano con l’intento di vedere tutto, e di conseguenza male.

Certo, se capitassi al MoMa, vista la sua lontananza cercherei anche io di osservare tante più opere possibili, dato anche il costo del biglietto; ciò però mi metterebbe nella condizione di godere di tutto senza godere di niente.

Daverio suggerisce dunque di studiare prima cosa il museo offra e selezionare quanto visionare, perché altrimenti a fine giornata, appena usciti dal museo, più che pensare alle bellezze di cui abbiamo goduto sentiremo “la necessità di trovare di corsa una Coca-Cola per ristorarci”.

Philippe di conseguenza suggeriva ai musei di creare un biglietto aperto e nominativo, che consentisse di entrare più volte, senza dover pagare un fiorino ad ogni passaggio.

Questo piccolo gesto di cortesia metterebbe il visitatore nella condizione di poter tornare più volte e di fare lo “slow looking”.

Mi permetto di usare il termine anglosassone perché è ciò che organizza la Tate Modern da qualche anno, a gruppi di 10 persone consiglia di visionare in un determinato periodo di tempo solo alcune delle 70.000 opere d’arte ivi presenti.

Questa lodevole iniziativa ha riscosso un enorme successo; dobbiamo convivere con l’idea che se vogliamo che una scultura o una tela comunichino con noi bobbiamo lasciare loro il tempo di farlo.

Ed ecco che 5 minuti, 10 o 15, sono i tempi necessari a creare un legame più profondo con quanto ci troviamo di fronte.

Ma come si fa?

Beh, prima di tutto bisogna trovare uno spazio all’interno della galleria dove poterci sedere, per terra o su un divano laddove disponibile, e semplicemente iniziare ad osservare, il resto poi verrà da sé.

Non è necessario essere esperti, inizialmente la nostra mente non troverà alcun legame con l’opera, ma senza fretta qualcosa si paleserà; se proprio nulla vi sovviene iniziate con osservare le forme, i colori scelti, la grandezza dell’opera e provate poi a capire il perché di determinate scelte e quale messaggio avesse l’autore per noi.

Cominciate a interrogarvi, non dovrete superare alcun test, ma solo far si che tra voi e l’opera inizi un dialogo, per tanto considerate ogni risposta esatta.

Non vi soffermate poi solo al dipinto o alla scultura, ma osservate dove è stata collocata , di come interagisce la gente, quanto ci si ferma e se ci si ferma; tutto questo continua a fare parte della lenta esperienza d’osservazione.
Non dobbiamo cercare di camminare in avanti, ma verso l’alto, dobbiamo elevarci e lasciare che a vivere per una volta sia il nostro io interiore.

Ah ovviamente guai a prendere il cellulare per iniziare a fare migliaia di foto, basta appuntarvi il nome del dipinto e ricercarlo la sera.

Si potrebbe arrivare al museo già con una lista di opere da vedere e prepararsi in anticipo; o viceversa entrare senza un programma, soffermarsi su una decina di opere che incuriosiscono, segnarle su un foglio e poi tornati a casa scoprirne la storia e i significati con una mini ricerca (molto più interessante secondo me).

Ringrazio Lisa Iotti, autrice di “8 secondi: Viaggio nell’era della distrazione” per aver affrontato un argomento così importante quanto delicato nel suo libro che narra di come ormai tutti noi, chi più chi meno, abbiamo perso la capacità di concentrarci in una vita ricca d’input tecnologici che lasciano poco spazio a stare da soli con noi stessi, anche in un museo.

Un pensiero riguardo “Il tempo che dedichiamo all’arte.

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