Raffaele Minotto, nato a Padova nel 1969, sin da bambino è stato attratto dall’arte e dal disegno; a spronarlo è stato il palazzo storico in cui si è trovato a crescere, situato al centro del capoluogo Veneto, palazzo Buzzaccarini ricco di affreschi e opere d’arte di Andrea Urbani e Jacopo Guarana che egli amava copiare e ricopiare, seduto lì sulle scale.
Terminate le scuole medie frequentò il liceo artistico per continuare poi gli studi presso l’accademia di belle arti di Venezia, sostenuto sì dalla famiglia, che avrebbe però preferito un percorso di stampo tradizionale per il figlio, e se proprio di arte si doveva trattare, che lo avesse condotto almeno all’insegnamento nelle scuole.
Ma Raffaele voleva vivere dipingendo e a ispirarlo c’erano le ambizioni di un giovane che amava grandi artisti della scuola inglese, come Freud e Bacon, o l’espressionista e surrealista Alberto Giacometti.
Era attratto dalla pittura materica e dal disfacimento delle forme, tutta la sua prima arte si basava nel realizzare soggetti che fossero riconoscibili da lontano, perché la loro forma, una volta inquadrata da vicino lasciava posto alla materia. Ed è nella ritrattistica che Raffaele forse conserva l’influenza di Freud, si osservi ad esempio come nel suo Autoritratto Segnaletico vi siano molti elementi in comune con il noto artista inglese.

Poi con il tempo, e molto lavoro, Minotto ha raggiunto un suo stile, oggi riconoscibile e distintivo, dove la luce gioca con la pittura, alleggerita rispetto ai primi lavori; infatti le superfici dei suoi oli sono diventate più lisce, creando un effetto quasi acquerellato, senza abbandonare quella scomposizione da cui è sempre stato attratto.
Il successo e i riconoscimenti sono arrivati lentamente; è dovuto passare attraverso molte fiere, mostre e gallerie prima di arrivare ai risultati odierni; le tavole che dipinge sono di grande formato, e richiedono almeno 3 settimane di lavoro ciascuna e sono poi affidate a più gallerie che lo distribuiscono lungo lo stivale.
Per un artista non è facile comprendere quando si debba dare l’ultima pennellata e considerare terminato il proprio dipinto, ma Raffaele si affida alla sua percezione di equilibrio, specialmente in quella creata dalla luce, elemento fondante di tutte le sue opere.
Perché se andiamo ad osservare i suoi lavori ci accorgiamo che il maggior numero delle tele raffigurano degli interni; sono proprio gli interni del palazzo storico in cui ha vissuto. Li fotografa, e poi in studio, dove passa mediamente otto ore al giorno, li riproduce con la sua visione di fedeltà. Sembra quasi di entrare in un mondo in cui l’illuminazione domina su tutto, il colore arriva a noi a macchie; e quegli interni raccontano di un passato ancora attuale.


Lo stesso vale poi per gli spazi esterni, fotografati sugli altipiano di Asiago: sono luoghi chiusi anche se sono all’aperto; perché ci devono essere boschi, che in qualche modo, occludano il passaggio alla luce solare che deve così farsi strada per passare e illuminare le foglie che giacciono sul suolo o una giovane donna che passeggia: questo consente a Raffaele di cimentarsi con la sua arte di pittore della luce.

Mi piacerebbe mostrarvi poi la neve raffigurata nella sua collezione Winterreise, dalla marcata influenza impressionista, corrente pittorica che Minotto considera altrettanto importante per la sua persona; e dell’impressionismo ruba il modo di colorare la neve, che non sarà mai bianca in purezza, ma presenterà sempre imperfezioni e colorazioni sporche che la renderanno così molto più reale.

Vi invito a visitare il suo sito personale, dove oltre a vedere la collezione completa delle sue opere potrete trovare informazioni aggiuntive sulla sua biografia e sulle gallerie che propongono i suoi lavori.
proprio non lo conosco, andrò a curiosare dalle sue parti
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Mettersi difronte ad un quadro di Raffaele ti inebria di luce, ti pare di sentire il raggio di sole che ti scalda la pelle. The number one.
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