Continua il nostro viaggio tra gli iperrealisti contemporanei del nostro paese e oggi è il turno di Marco Grassi, classe 1987, nato a Reggio Emilia.
L’iperrealismo è un genere di pittura e scultura, in cui gli artisti si servono di tecniche fotografiche e di una meccanica riproduzione della realtà, per costruire l’illusionismo delle proprie tele e delle proprie sculture.
Per poter riprodurre la realtà in maniera rigorosa, gli iperrealisti si servono in genere di fotografie molto ingrandite per le pitture o di calchi dal vivo per le sculture, per realizzare quanti più dettagli possibili, in una vera e propria “forma maniacale”. Il termine si applica principalmente a un movimento artistico indipendente negli Stati Uniti e in Europa ed è considerato un avanzamento del fotorealismo.
Ma ciò che offrono gli artisti iperrealisti è l’esperienza di sbalordirci davanti ai loro dipinti; concentrarsi sui particolari, con una precisione che a volte rasenta la perfezione, sapere che quell’opera è il frutto di mano e pennello confonde l’intelletto, e difficilmente si riesce ad immaginare con quali occhi veda la sua tela l’artista.
La precisione della tecnica è comparabile a quella delle stampanti più tecnologiche, e parlando con termini informatici, non c’è pixel che sembri essere fuori posto.
Marco, dopo aver terminato gli studi di ragioneria, si iscrive ad un corso di restauro pittorico; esperienza che lo porterà ad abbandonare la strada dei numeri per dedicarsi all’arte. Si iscrive dunque all’accademia di belle arti di Bologna e da allora non ha fatto altro che dipingere. Solitamente impiega due o tre mesi di lavoro per completare un’opera, che egli stesso ama definire surreale.
Perché a differenza di uno scatto fotografico i suoi soggetti si trasformano in maioliche, subiscono mutazioni che li rendono oggetti, unendo così due correnti che altrimenti sarebbero lontane: l’iperrealismo e il surrealismo, appunto.
Qui di seguito la galleria con alcune delle sue opere.
Empty spaces La bellezza del tempo Autocorpo Galatea Green Queen The garden
un bell’articolo molto chiaro, non amo tanto questo tipo di “pittura” son sincera, preferisco la fotografia che a mio avviso come dice la parola stessa “scrive con la luce” per gli effetti di luce ed ombre che spesso rendono le foto tridimensionali
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