Oggi parliamo di un dipinto che René Magritte ha eseguito nel 1933, La condizione umana, conservata presso la National Gallery of Art di Washington.

Nell’opera è raffigurata una stanza con una finestra spalancata, circondata da delle tende rosse che quasi ricordano un sipario teatrale. A colpo d’occhio si vede la distesa verde che si trova al di là degli infissi, ma con un po’ più di attenzione si nota che il paesaggio esterno è in realtà dipinto su una tela che precede la finestra.
Sono due gli elementi che ci consentono di notare l’inganno: il bordo destro bianco della tela, e la sovrapposizione di essa col tessuto della tenda da sinistra.
Diverse le interpretazioni date al quadro, c’è chi ritiene definisca come gli artisti siano in grado di rappresentare il vero; altri invece, seguendo le indicazioni del titolo, sostengono che la condizione umana sia quella di osservare le cose attraverso il proprio punto di vista e la propria esperienza.
Nonostante la realtà sia al di fuori della finestra, l’uomo la percepisce su un proprio supporto, distaccato da quella realtà. Per quanto dunque la tela possa essere fedele alla realtà, è comunque prodotta da un filtro umano.
Ricorda Oscar Wilde, il quale asseriva che noi vediamo solo ciò che sappiamo; o ancora il velo di Maya di Schopenauer secondo cui il “vero” mondo si nasconde agli occhi dell’uomo e si trova proprio dietro un velo.
Con questo titolo Magritte esegue anche un secondo dipinto, La condizione umana II, conservato presso la Collezione Simon Spierer di Ginerva.

Nel dipinto si ripete, in un ambiente diverso lo stesso meccanismo: si può notare una stanza spoglia, con una porta a forma di arco che dà su una spiaggia, e un cavalletto. A prima vista sembrerebbe che l’arco non sia perfetto ma che presenti una rientranza sul muro, ma in realtà, guardando con attenzione, si nota che la tela poggiata sul cavalletto raffigura il prolungamento del paesaggio sullo sfondo.
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