Egon Schiele: Quell’arancia è stata l’unica luce

«Ho dipinto il letto della mia cella. In mezzo al grigio sporco delle coperte un’arancia brillante che mi ha portato V è l’unica luce che risplenda in questo spazio. La piccola macchia colorata mi ha fatto un bene indicibile.»

(Egon Schiele, Diario del carcere, 19 aprile 1912)

Egon Schiele è stato un pittore appartenente al movimento espressionista. Nacque in una stazione ferroviaria nel 1890 a Tulln, una cittadina austriaca non molto distante da Vienna. Fu sempre attratto dalla pittura, tanto che lo zio, che ne aveva la custodia legale a seguito della morte del padre, si convinse a fargli abbandonare la carriera in ferrovia per iscriverlo all’accademia di belle arti di Vienna, nel 1906. Però, così come avveniva in Francia, anche in Austria gli studi accademici erano volti ad un certo classicismo, distante dalle vene artistiche di Eigon Schiele, che sin da subito manifestò attenzioni per canoni di tutt’altro tipo.

Disegnava all’aria aperta, utilizzava colori forti e vivaci, non necessariamente in modo realistico, trovava affascinanti il nudo maschile e femminile; non è un caso che nel 1907 si trovò a condividere esperienza e amicizia con Gustave Klimt, che ebbe modo di conoscere al Café Museum di Vienna.

In quelle prime opere esposte il suo stile, abbandonate le rigide regole dell’accademia, è già espressionista: accanto a ritratti di amici e autoritratti, viene rappresentata la fisicità del corpo attraverso un’aggressiva distorsione figurativa. In questo modo la sessualità diventa ossessione erotica che, accanto al tema della solitudine angosciosa e inquieta, assume un’altissima tensione emotiva. In modo simile a quello che negli stessi anni fanno Alfred Kubin e Oskar Kokoschka, lo spazio diventa una specie di vuoto che rappresenta la tragica dimensione esistenziale dell’uomo, in continuo conflitto tra la vita e la morte.

Nel 1912 Schiele è accusato di aver sedotto e molestato la quattordicenne Tatjana Georgette Anna; fu imprigionato e questa esperienza lo segnò definitivamente.

«Devo vivere con i miei escrementi, respirarne l’esalazione velenosa e soffocante. Ho la barba incolta – non posso nemmeno lavarmi a modo. Eppure sono un essere umano! – anche se carcerato; nessuno ci pensa?»

(Egon Schiele, Diario del carcere, 19 aprile 1912)

Il dipinto, acquerello e matita su carta giapponese, conservato all’Albertina Museum di Vienna ha un titolo molto esplicito: Die eine Orange war das einzige Licht, Quell’arancia è stata l’unica luce.

Die eine Orange war das einzige Licht, Quell’arancia è stata l’unica luce, Acquerello, matita su carta giapponese, 1912, Albertina Museum, Vienna

Tutto è raffigurato privo di colore, la cella è duramente spartana: una branda stretta, pareti spoglie, una porta lignea con una piccola finestra, l’unico punto di fuga che lo sguardo potrebbe avere da quelle mura.
Il colore è dato solamente dal grigio e dal marrone delle coperte da egli definite sporche; l’arancia, il centro di tutto: l’unica luce che abbia avuto in quella stanza gli fu donata dall’esterno e per via della luminosità che assume in questo contesto sembra quasi un sole che sorge. Il titolo e la firma sono riportati a matita in alto a destra. Tra tutti i disegni e dipinti di Schiele ho scelto questo, perché è il più intimo ed è testimonianza di una prigionia che Egon non dimenticherà mai.

Uscì dal carcere senza scontare l’intera pena, tornando a Vienna; lì lo attendeva Klimt che riuscì nuovamente a rilanciarlo nella scena artistica, risollevando il suo morale e la propria persona.

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