A causa del Coronavirus una delle più attese mostre di tutti i tempi vede posticipata al 3 Aprile la propria apertura, è la mostra su Raffaello presso le Scuderie del Quirinale di Roma.
Quest’anno si celebra il centenario della morte di Raffaello, uno dei più grandi pittori mondiali e per celebralo le opere più importanti sono state riunite, per la prima volta in assoluto, in un unico luogo a Roma.
Raffaello morì il 6 Aprile 1520, dopo aver dedicato la sua intera vita all’arte e all’architettura. Fu così influente per gli artisti dell’epoca – e per quelli dei periodi successivi – che dopo di lui cambiò completamente il modo d’intendere la pittura; prese vita il così detto manierismo, un modello di riferimento che guiderà le scuole e le accademie fino alla metà del 1800, quando movimenti come il Romanticismo e l’ Impressionismo cominciarono una lenta rivoluzione.
Le opere alle Scuderie.
Le Scuderie del Quirinale hanno messo a disposizione sul loro sito un PDF dove sono elencate le opere presenti. Nei successivi paragrafi le commenteremo assieme, affinché possiate avere poi una visita consapevole presso la mostra.
- Ritratto di Leone X tra i Cardinali Giulio de’Medici e Luigi de’ Rossi

Questo olio su tavola è conservato presso la Galleria degli uffizi di Firenze, e fu dipinto nel 1518 circa.
Fu realizzato in occasione del matrimonio tra Lorenzo Duca di Urbino, nipote di Leone X, e Madeleine de La Tour d’Auvergne. Il pontefice, non potendosi spostare, inviò il dipinto in sua rappresentanza.
La tavola mostra degli elementi in comune con i ritratti eseguiti in precedenza da Raffaello a Papa Giulio II e databili al primo decennio del 1500.
Il Papa è ritratto seduto su una sedia e poggia le mani sul tavolo ricoperto da un drappo rosso. La scena si svolge in diagonale, anche Giulio de’Medici (collocato alla sinistra e futuro Papa Clemente VII) e Luigi de’ Rossi, sono posti in obliquo rispetto all’osservatore.
Sul pomello della sedia si può notare come con minuzia sia stato dipinto il riflesso della stanza. Lo stesso Vasari rimase incantato dalla precisione dei dettagli e nello specifico: “i lumi delle finestre, le spalle del Papa e il rigirare delle stanze“.
Il volto del pontefice è stato rappresentato con realismo: il volto è tondo e il mento gonfio, il naso grande e arcuato, lo sguardo intenso, rivolto a un punto indefinito nella stanza; i solchi ai lati della bocca, sulla fronte le leggere occhiaie, oltre alla leggera ricrescita della barba.
Il colore rosso predomina la scena, il drappo, le vesti dei Cardinali, la sedia, è presente ovunque.
2. Ritratto di Baldassarre da Castiglione.

Questo olio su tela, dipinto nel 1513 arriva direttamente dal Musée du Louvre di Parigi.
Baldassarre da Castiglione (Casatico, 6 dicembre 1478 – Toledo, 8 febbraio 1529) è stato un umanista, letterato, diplomatico e militare italiano, al servizio dello Stato della Chiesa, del Marchesato di Mantova e del Ducato di Urbino.
La sua prosa è considerata una delle più alte espressioni del Rinascimento italiano. Soggiornò in molte corti, tra cui quella di Francesco II Gonzaga a Mantova, quella di Guidobaldo da Montefeltro a Urbino e quella di Ludovico il Moro a Milano. Al tempo del sacco di Roma fu nunzio apostolico per papa Clemente VII (ritratto nel dipinto precedente prima di divenire Papa).
La sua opera più famosa è Il Cortegiano, pubblicato a Venezia nel 1528, e ambientato presso la corte d’Urbino, ma scritto solo in seguito al soggiorno in quest’ultima.
Si tratta della trattazione, in forma dialogata, di quali siano gli atteggiamenti più consoni a un uomo di corte e a una “dama di palazzo”, dei quali l’autore riporta raffinate ed equilibrate conversazioni che immagina si tengano durante serate di festa alla corte dei Montefeltro, attorno alla duchessa Elisabetta Gonzaga.
Tra Raffaello e Baldassarre, entrambi legati ad Urbino, vi è stata molto probabilmente una sincera amicizia.
Baldassarre Castiglione è ritratto a mezza figura, voltato di tre quarti verso sinistra e col volto ruotato verso lo spettatore, su uno sfondo scuro e uniforme. L’abbigliamento è consono al suo ceto sociale: giacca nera su camicia bianca, maniche di pelliccia e un vistoso cappello scuro, con tagli alla moda. Il volto è ovale, con la barba lunga come andava di moda nei primi decenni del Cinquecento, e con gli occhi azzurri che fissano intensamente il riguardante, instaurando un rapporto psicologico profondo. La sua figura arriva così a incarnare quell’ideale di perfezione estetica e spirituale della cortigianeria espressa nel suo celebre trattato.
L’alta qualità e la combinazione magistrale di elementi pittorici che contraddistinguono il dipinto, quali l’espressione di affetto sul volto calmo e intelligente di Castiglione, hanno fatto anche pensare che l’umanista abbia in qualche modo partecipato all’esecuzione dell’opera: in realtà è piuttosto da legare all’eccezionale affinità spirituale e comunanza d’ideali tra il soggetto e il pittore.
A parte una pulitura della vernice originale e alcuni ritocchi nella barba, l’opera è in condizioni molto buone.
3. La Madonna della Rosa

La Madonna della Rosa è un dipinto a olio su tavola, databile al 1518 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid.
Il dipinto prende nome dalla rosa poggiata sul ripiano in primo piano e rappresenta la Madonna che tiene in braccio Gesù Bambino. Nella scena San Giovannino consegna un cartiglio a Gesù con su scritto “Agnus Dei”, mentre Giuseppe, posto in secondo piano, osserva la scena. Il colore scuro dello sfondo viene smorzato dalle nuance pastello del vestito della Vergine Maria che con i colori azzurro, blu, viola e verde illumina la scena.
Il dipinto è stato realizzato presso la bottega di Raffaello, che non sarebbe stato il solo a mettervi mano: hanno collaborato con molta probabilità alla produzione Giulio Romano o Gian Francesco Penni.
4. San Giovanni Battista (o San Giovannino).

Questo olio su tela è del 1518 ed è conservato presso la Galleria degli Uffizi di Firenze. Rappresenta un giovane San Giovanni, in forma quasi atletica che in piedi, con la mano destra indica Gesù, rappresentato dalla croce di legno formata da due bastoni longilinei. Incredibile è il contrasto che vi è tra lo scuro dello sfondo e la figura di San Giovanni, raggiante per via della luce che lo illumina. Il corpo è rappresentato in modo michelangelesco, quasi ad imitare i corpi del Giudizio Universale della Cappella Sistina; il contrasto con lo sfondo è invece comparabile agli effetti di luce tipici di Leonardo da Vinci.
L’opera è attribuita alla bottega di Raffaello, anche se gli studiosi pensano che egli vi abbia messo mano personalmente. Il dipinto, secondo il Vasari, è stato commissionato dal Cardinale Jacopo da Carpi.
5. Estasi di Santa Cecilia

L’Estasi di santa Cecilia è un dipinto a olio su tavola trasportata su tela (236 × 149 cm) attribuito alla bottega di Raffaello e oggi conservato presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna. La datazione del dipinto oscilla tra il 1514 e il 1516, stando alla datazione al del disegno preparatorio a sanguigna con la figura di san Paolo conservato nel Teylers Museum di Haarlem e della datazione al 1514 del modello di Giovan Francesco Penni.
Il dipinto fu commissionato da Elena Duglioli, nobildonna bolognese che fu poi beatificata da papa Leone XII nel 1828. Questa tavola doveva essere posizionata all’interno della cappella consacrata a Santa Cecilia in San Giovanni in Monte, edificio sito nell’omonima piazza a Bologna.
L’opera venne trafugata durante le spoliazioni napoleoniche, e fu inviata a Parigi nel 1798: i tecnici del Louvre, pensando di migliorarne la conservazione, trasportarono la pellicola pittorica su tela nel 1801, distruggendo strato dopo strato il supporto ligneo originale.
La tavola tornò in Italia nel 1815, insieme ai capolavori rintracciati da Antonio Canova. Le condizioni conservative sono comunque buone, con tracce di ridipinture dovute ai traumi subiti nell’operazione parigina, che determinarono diverse lacune.
Santa Cecilia è rappresentata assieme ai Santi Paolo, Giovanni Evangelista, Agostino e Maria Maddalena. Maddalena, al centro dell’opera, sta vivendo l’estasi. La musica terrestre è rappresentata da tutti gli strumenti che sono caduti ai piedi della santa, compreso l’organetto che le sta cadendo di mano; tali strumenti sono in contrapposizione con la musica celeste, che solo Santa Caterina può sentire. Nell’opera, stranamente, non è raffigurato Gesù Cristo che solitamente è presente sotto forma di apparizione, colomba o luce.
Uno dei problemi della pala è quello dell’autografia. Come noto in quel periodo Raffaello usava massicciamente aiuti e lo stesso Vasari assegnò la raffigurazione degli strumenti musicali ai piedi della santa a Giovanni da Udine. Il disegno della testa felina della voluta della viola da gamba richiama quello delle teste leonine della sedia del Ritratto di Dona Isabel de Requesens ad indicare un possibile intervento di Giulio Romano. Per il resto, la critica, sulla scorta anche di recenti restauri, riconosce un preponderante intervento di Raffaello ad avvalorare l’autografia raffaellesca del dipinto.
Evidenti a occhio nudo sono le discrepanze nello stile pittorico, ad esempio tra la massa imponente e opaca del san Paolo, alla veste illuminata incidentemente della Maddalena, con riflessi setosi e alabastrini che a Roberto Longhi fecero pensare alla scuola emiliana degli anni immediatamente successivi (come Parmigianino).
6. Ritratto di donna detto “La Velata”.

Questo dipinto, noto come La Velata, probabilmente raffigura l’amante di Raffaello, Fornarina. Per altri invece è Lucrezia della Rovere. Certo è che la somiglianza con l’amante, dipinta nell’opera che descriverò subito dopo, porta i critici a dare per buona la prima interpretazione, anche se la tela però non è sempre stata attribuita a Raffaello.
Quando venne catalogato a Palazzo Pitti nel 1622 il dipinto fu inventariato in forma dubitativa, “dicono di Mano di Raffaello d’Urbino”, per poi attribuito a Justus Sustermans. È nel 1839 che Passavant, notando la somiglianza della protagonista con la Vergine della Madonna Sistina e con una delle Sibille di Santa Maria della Pace, lo attribuisce a Raffaello. Oggi la critica è concorde ad accreditarlo alla mano di Sanzio.
Non si tratta di un ritratto ufficiale. È una donna che esce da uno sfondo scuro, che porta un velo. La camicia che ricopre il petto è disegnata senza automatismi, la mano sul petto indica devozione religiosa. Il dipinto è un Olio su Tela, 1516 ed è conservato presso la Galleria Palatina di Firenze.
7. Fornarina (Ritratto di donna nei panni di Venere)

La Fornarina è un a olio su tavola, databile al 1518–1519 circa e conservato nella Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma. La firma di Raffaello è riportata sul bracciale della donna: RAPHAEL VRBINAS.
Il soggetto è una giovane donna, seminuda, ricoperta solamente da un velo trasparente fino all’ombelico, mentre la parte inferiore delle gambe è integralmente nascosta da un drappo rosso. Il dipinto è noto con il nome di Fornarina, ossia Fornaia. Questo termine è stato spesso usato in titoli di opere rappresentanti giovani donne, spesso scoperte. Per questo Giuliano Pisani, filologo e storico dell’arte italiano, ha sostenuto che il termine “forno” si riferisca all’attributo femminile e che rappresenti per tanto il ventre della donna. Nei suoi studi asserisce che sia per mettere in contrasto la Venere terrestre, portatrice di fecondità con una Venere invece divina.
Il dipinto, come hanno testimoniato gli esami radiografici, fu realizzato in due riprese: in un primo momento sullo sfondo, al posto del cespuglio di mirto sacro a Venere, appariva un paesaggio di ispirazione leonardesca. Pare infatti che il dipinto si rifacesse al modello perduto della Monna Vanna del pittore di Vinci.
La posa della mano destra sul seno richiama il gesto della Velata, tuttavia il disegno dell’orecchio differisce da quest’ultima mentre è piuttosto simile a quello della Maddalena che compare nella Estasi di Santa Cecilia. Il diverso disegno dell’orecchio, messo in luce da Cecil Gould, pende a favore di chi rifiuta la tesi dell’identità tra il modello della Velata e quello della Fornarina. Il dibattito sull’autografia raffaellesca della Fornarina si incentra invece sulla disparità stilistica che si riscontra a prima vista tra il trattamento pittorico del capo della donna e quello del resto del suo corpo. L’opera, per la sua nudità, doveva appartenere a una collezione privata.
8. Madonna dell’Impannata

È un olio su tavola del 1513 e conservato presso la Galleria Palatina degli Uffizi di Firenze. L’opera, secondo il Vasari, è stata prodotta per Bindo Altoviti, banchiere e mecenate italiano, ma fu poi sequestrata da Cosimo I de’Medici. Come molte altre opere fu portata da Napoleone in Francia nel 1799 per poi tornare in patria nel 1815.
Nonostante l’opera sia attribuita a Raffaello è probabile che egli abbia messo la sua mano solamente su Gesù Bambino e sulla testa di Elisabetta. Il nome del dipinto è dovuto all’infisso, detto impannata, che si trova sullo sfondo.
Nella scena sono rappresentati la Madonna, Gesù Bambino, Sant’Elisabetta (inginocchiata ai piedi della sacra famiglia) e Santa Caterina d’Alessandria; a destra c’è San Giovannino che, come detto in precedenza, con il suo dito indica Gesù.
Bisogna mettere in evidenza la maestria con cui sono rappresentate le rughe del volto dell’anziana Sant’Elisabetta; interessante è vedere, nel dettaglio sottostante, come l’ombra faccia sparire parte del volto, senza che siano dipinti i contorni dello stesso; si potrebbe confrontare con i dipinti seicenteschi di Jan Vermeer. Inoltre la geometria del quadro è perfetta: un cerchio che si stringe attorno a Gesù.

9. Madonna col Bambino e San Giovannino (Madonna d’Alba).
La Madonna d’Alba è un dipinto a olio su tavola trasportata su tela (diametro 98 cm) databile al 1511 circa e conservato nella National Gallery of Art di Washington.

Il soggetto è la Madonna seduta in terra, che tiene in braccio Gesù, mentre San Giovannino li osserva. La posa della Madonna si può ascrivere alle cosi dette Madonne dell’Umiltà, il cui tema iconografico ha inizio nel XIV secolo e consiste proprio nel rappresentare la Vergine seduta in terra e non su di un trono come le Maestà. Questo genere d’arte iconografica si diffuse con gli ordini monastici che rappresentavano la Chiesa Povera usando l’immagine della Beata Vergine Maria.
La scena, che sembra rappresentare un’immagine bucolica di famiglia, in realtà è il presagio di quello che sarà il destino del figlio di Dio: la crocifissione; osservando bene l’opera si può notare che tutti e tre osservano proprio la croce lignea, che incombe sul futuro di Gesù.
10. Ritratto di Giulio II

Sotto questo nome sono state dipinte due opere nello stesso periodo; la prima è conservata oggi alla National Gallery di Londra; l’altra presso gli Uffizi di Firenze.
Quella esposta alle Scuderie è l’opera londinese, riconoscibile per via dello sfondo verde e per il fatto che è un olio su tavola, mentre l’opera fiorentina ha uno sfondo scuro ed è un olio su tela. Il dipinto fu commissionato dallo stesso pontefice e finì per sconosciute vicissitudini a Londra.
Solamente nel 1976 uno studioso della National Gallery riuscì ad attribuire la paternità del dipinto a Raffaello. Sul retro della tela era presente il numero 118 che si scoprì coincidere con i cataloghi della Galleria di Scipione Borghese del 1608, galleria dalla quale Rodolfo II acquistò il dipinto che lo stesso Vasari aveva detto essere esposto presso la chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma e appartenere alla mano di Raffaello.
Il Papa è raffigurato seduto sulla sedia camerale con braccioli e ghiande sui pomoli dello schienale, un richiamo allo stemma Della Rovere. La sua figura, un po’ curva, è girata di tre quarti verso destra. La barba è lunga, come dal voto fatto nel 1511, e indossa il camauro di velluto rosso, la mantella rossa bordata d’ermellino (la mozzetta) e la tunica bianca. Lo sfondo del parato verde, con decorazioni che mostrano le chiavi di san Pietro, esalta i colori della veste e la volumetria del soggetto. Le mani espressive, con gli anelli cerimoniali, reggono un fazzoletto o l’estremità del bracciolo.
I pontefici erano di solito ritratti di profilo, magari in ginocchio, o rigidamente frontali, quasi ieratici, con un’impostazione impersonale (“araldica”) o comunque encomiastica. Raffaello rinnovò questa tradizione ritraendo il papa a mezza figura, con un punto di vista diagonale e leggermente dall’alto, come se lo spettatore fosse in piedi accanto al pontefice seduto, rimuovendo qualsiasi distacco fisico e psicologico verso il reverendo ruolo del protagonista. Tale soluzione divenne un modello frequentissimo per i ritratti ufficiali di pontefici ed è la stessa che Raffaello usò nuovamente nel dipinto che abbiamo visto prima di Papa Leone X.
11. Madonna Tempi

La Madonna Tempi è un dipinto a olio su tavola, databile al 1508 circa e conservato nell’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera.
L’opera prende il nome dagli acquirenti, la famiglia Tempi, che la possedettero fino al 1829, anno in cui la vendettero a Ludovico I di Baviera.
La Madonna è ritratta a mezza figura col Bambino in braccio, sullo sfondo di un paesaggio delineato sinteticamente, che evidenzia, per contrasto, la monumentalità delle figure. I due protagonisti appoggiano i volti l’un l’altro citando la Madonna Pazzi di Donatello. Tutto il gruppo è percorso da un’unica sensazione di moto, leggermente spiraliforme, che va dall’ampio giro di manto in basso, fino all’abbraccio e al tenero gesto dei volti, così intimo e familiare.
Straordinario è l’equilibrio raggiunto tra l’ideale di perfezione artistica e la naturalezza delle figure.

12. Madonna del Granduca

La Madonna del Granduca è un dipinto a olio su tavola, databile al 1504 circa e conservato nella Galleria Palatina a Firenze. Il committente è sconosciuto, mentre è certo che fu acquisito da Ferdinando III di Lorena, da cui prese successivamente il nome.
La Madonna è raffigurata in piedi, con la tradizionale veste rossa e il manto azzurro e sembra avanzare verso lo spettatore emergendo dal fondo scuro, con decisa ma dolce monumentalità. Tiene in braccio il Bambin Gesù come a mostrarlo allo spettatore, con un’intima e misurata interazione di gesti tra i due. Perfettamente bilanciati sono i rapporti tra i volumi e la disposizione dei protagonisti, con una lieve rotazione di Maria verso destra a cui corrisponde un gesto analogo e in senso opposto di Gesù. Lo sguardo del Bambino accentua i risvolti sentimentali e devozionali dell’opera, rivolgendosi intensamente verso lo spettatore, invitato così a compartecipare alla sublime corrispondenza amorosa tra madre e figlio.
Il dilatarsi dei pieno di luce e d’ombra, con effetti di avvolgimento atmosferico, dimostra l’influenza dello sfumato di Leonardo da Vinci, che Raffaello ebbe modo di apprezzare nei primissimi anni a Firenze. Altri riferimenti rimandano alle Madonne dei Della Robbia.
L’estrema dolcezza della scena compone un raro equilibrio tra il senso di manifestazione divina e la forte umanizzazione del soggetto.
13. Il sogno del cavaliere (Ercole al bivio).

Il Sogno del cavaliere è un dipinto a olio su tavola (17×17 cm), databile al 1503-1504 circa e conservato nella National Gallery di Londra. Probabilmente faceva parte di un dittico con le Tre Grazie, oggi al Museo Condé di Chantilly.
È probabile che il committente sia stato Scipione di Tommaso Borghese e che l’opera sia stata dipinta durante il soggiorno romano di Raffaello, durante il periodo dell’elezione al pontificato di Giulio II.
La paternità dell’opera è garantita anche da un cartone preparatorio oggi conservato presso il British Museum che porta la firma di Raffaello.
Vi è un dubbio interpretativo dell’opera, motivo per cui è conosciuta sia col titolo di Ercole al Bivio sia come Il sogno del Cavaliere.
La storia narra di un uomo che, dormendo, si troverà a scegliere tra il piacere terreno e il piacere della conoscenza superiore, rappresentato dalle due donne Pallade e Venere.
Le due figure femminili sono infatti proiezioni del sogno del cavaliere al centro, addormentato sullo scudo: la Virtù (Virtus), davanti a un passo montano impervio, e il Piacere (Voluptas), con gli abiti più sciolti. Esse gli offrono gli attributi ideali dei suoi compiti: la spada (cioè l’arte militare, nonché la vita attiva), il libro (la conoscenza, lo studio, quindi la vita contemplativa) e il fiore (l’amore).
Le due figure allegoriche non sembrano però essere contrapposte, con una bilanciata simmetria tra le due figure, evidenziata dall’asse dell’alberello al centro: potrebbe essere un riferimento alle teorie neoplatoniche, che implicano l’armonizzazione delle due inclinazioni.

14. Raffaello Autoritratto.

Questa tempera su tavola del 1505 è conservata presso gli Uffizi di Firenze. La paternità dell’opera è attribuita a Raffaello, anche se non tutta la critica è concorde. Il ritratto rappresenta sicuramente l’artista.
Alcuni la datano al pieno soggiorno fiorentino, altri a un periodo più avanzato, come copia autografa o parzialmente autografa dell’autoritratto visibile nella Scuola di Atene visibile presso i musei Vaticani.
I capelli sono lunghi, come in altre effigi dell’artista, il volto ovale, giovane e fresco, con un’espressione seria e composta, che si staglia sulla macchia scura dei capelli e sullo sfondo altrettanto scuro, di colore bruno. Gli occhi sono laconici, le sopracciglia sottili, il naso longilineo e leggermente all’insù, le labbra carnose, il mento con fossetta.
Particolare è la posa, con il mezzo busto messo in posizione angolare rispetto al volto che volge lo sguardo verso l’osservatore.